Arte e Architetture di Sant’Angelo In Lizzola
Nonostante i danni subiti a causa della seconda guerra mondiale, Sant’Angelo in Lizzola è riuscita a conservare la sua particolare bellezza: la porta urbica, il Palazzo Mamiani e la torre civica, le antiche mura, la “fonte dei poeti”, la collegiata, la chiesa abbaziale di Sant’Egidio e la quadreria Venanzi, le conferiscono l’aspetto di un suggestivo borgo.
L’ingresso al castello di Sant’Angelo in Lizzola è contraddistinto dall’imponente porta urbica, in passato collegata al borgo tramite un ponte levatoio. Il blasone dei Mamiani Della Rovere campeggia sopra alla volta di accesso, insieme ad alcune epigrafi commemorative, che ricordano il conte Vincenzo, la fondazione del teatro Perticari e Giovanni Branca.
Subito dopo l’androne, sulla sinistra, si apre via Giacomo Boccalaro, che ricorda le numerose botteghe di ceramisti e vasai di Sant’Angelo, attive nel ‘400 e nel ‘500.
Il palazzo baronale (seconda metà XVI sec.), dal 1935 sede del municipio, è al centro di piazza IV Novembre, dove fa bella mostra di sé un piccolo pozzo rinascimentale e parte di una meridiana occhieggia dalle mura di un’antica abitazione. Nei sotterranei di Palazzo Mamiani, nei locali che un tempo accoglievano stalle e magazzini, c’è una grotta collegata, tramite una galleria, alla piccola cisterna alloggiata nella piazza; nel seminterrato è inoltre conservato l’archivio storico del castello, con manoscritti e pergamene risalenti alla metà del XVI secolo; una sala è riservata alla biblioteca comunale, mentre un altro ambiente è usato per cerimonie ed eventi culturali. E’ possibile accedere ai sotterranei del palazzo, anche dall’esterno, attraverso un breve sentiero orlato di ulivi, che conduce al bastione orientale della cinta muraria.
Addossata alla residenza signorile dei Mamiani, emerge l’antica torre civica dei De Lizzola (XII sec.), della quale, come per il palazzo comitale, restano originali solo le fondamenta, sopravvissute ai bombardamenti da parte dei tedeschi, durante il secondo conflitto mondiale. Dalla piccola porta della torre si accede al belvedere, per godere il panorama sulla vallata circostante, fino al mare Adriatico. Sopra alla torre, il teologo della collegiata Cesare Becci studiava il cielo con il telescopio, componendo un prezioso dizionario astronomico del tutto inedito, attorno alla metà dell’800.
La vicina parrocchiale, dedicata a San Michele Arcangelo, ha subito nel corso del tempo numerosi rifacimenti e ampliamenti. Edificata tra il 1689 e il 1710 sulle fondamenta di un tempio più antico e omonimo, restaurato da Giovanni Branca, nel 1718 la chiesa venne proclamata “insigne collegiata”, con bolla papale di Clemente XI (1649 – 1721). L’interno in stile rinascimentale conserva interessanti tele baroccesche, copie di opere di Guido Reni e del Correggio, un dipinto del pesarese Giovan Giacomo Pandolfi (proveniente dalla diruta chiesa di Sant’Isidoro, in località Serra) e un altro attribuito a Giovanni Venanzi. Degni di nota sono i raffinati intagli lignei del coro in noce e parte dell’arredo della sacrestia, databili nella prima metà del XVIII secolo, opera di Venanzio Guidomei, abile ebanista originario di Ginestreto.
Percorrendo la cinta muraria che cinge il castello, i cui tratti più antichi risalgono al periodo di dominazione sforzesca, si diparte un dedalo di vicoli acciottolati, su cui si affacciano le pittoresche case di Sant’Angelo, tra cui l’antica abitazione dei conti Mamiani, di cui una targa lapidea reca la data 1569.
Verso meridione si sviluppa il borgo, in fondo al quale si trova la chiesa abbaziale di Sant’Egidio (seconda metà XVII sec.), di proprietà privata, autentico scrigno di arte barocca, commissionata da don Agostino Lapi, fu ereditata dai conti Perticari, suoi discendenti, che ne ottennero il giuspatronato laicale. A pianta ottagonale, la piccola chiesa mostra un raffinato prospetto neo-cinquecentesco, in laterizio e a bugnato nella parte inferiore, movimentato dalle linee orizzontali del basamento, leggermente aggettanti. Lungo le pareti interne del tempio, si snoda la galleria di tele, dipinte tra la seconda metà e la fine del XVII secolo da Giovanni Venanzi (1627–1705), che costituiscono un’interessante quadreria, di recente istituzione.
Uno splendido altare barocco rivestito in oro zecchino e un crocefisso di cedro del Libano (XVII sec.), arricchiscono e completano l’arredo sacro. (La chiesa di Sant’Egidio, di proprietà privata, è visitabile su prenotazione)
Fuori dalla cinta muraria, in via Dante Alighieri, si apre l’antico foro boario di Sant’Angelo, area dedicata ad una storica fiera del bestiame, documentata sin dal 1600, della quale resta memoria negli anelli ancora fissati alle antiche mura, che servivano per legare gli animali.
Procedendo in direzione sud e percorrendo un ameno sentiero ghiaioso e leggermente in discesa, bordato da aceri, platani, sambuchi e roverelle, si raggiunge la Vecchia fonte. Ancor prima che fosse costruito il castello, questo fontanile ha abbeverato non solo la popolazione di Sant’Angelo in Lizzola e di tutte le terre della zona e le loro greggi, ma anche pellegrini, mercanti e i soldati dei tanti eserciti, come quello napoleonico, che in questo luogo trovarono ristoro. L’antica mulattiera venne inoltre ricordata in un’epistola del conte Terenzio, ultimo rampollo della casata Mamiani, mentre era in esilio in Francia, indirizzata al fratello, nella quale ricorda con nostalgia “…Sant’Angelo e gli alti pioppi che fronteggiano nella discesa che va alla fonte”.
L’ignoto architetto idraulico, che ne curò la realizzazione, è riuscito a donare al manufatto l’aspetto di un proscenio, con un corretto inserimento dell’opera idraulica nel contesto paesaggistico che la cinge e la collina retrostante, che funge da quinta scenografica. Costanza Monti venne conquistata dal fascino del luogo e si racconta che trasformò questo locus amoenus immerso nella natura, da semplice fontanile, in uno scenario poetico, nel quale lei, il suo consorte Giulio Perticari e i loro illustri ospiti declamavano versi ed eseguivano brani musicali, creando una sorta di “piccolo teatro verde”, durante le lunghe serate estive.
Il restauro della fonte dei poeti è stato voluto dall’amministrazione comunale di Vallefoglia, che l’ha mirabilmente portata al suo originario funzionamento, destinandola nuovamente ad attività culturali e ripristinando quell’atmosfera di incontri letterari, tanto attivi all’epoca dei Perticari.
Villa Carelli (fine 1700), meglio nota come Villa del barone, sorge ai piedi di Sant’Angelo, sul fianco ovest della collina, a metà tragitto tra il Trebbio e il castello, in una contrada nota come Ospedaletto (perché fino al 1870 in questo luogo c’era una casupola che offriva assistenza ai forestieri). Inizialmente la villa era una casa da massaro con corte, poi fu trasformata in residenza signorile, con un vasto podere agricolo. Acquistata negli anni ’40 del Novecento dal colonnello barone Carelli, venne requisita da un comando tedesco, sfiorata dai bombardamenti, occupata da un gruppo di sfollati, durante il secondo conflitto mondiale e oggi la villa costituisce la graziosa residenza estiva degli eredi del barone. L’austera architettura della facciata è alleggerita da una scalinata d’ingresso, che ha un’elegante forma a ventaglio e dalla veranda a vetrate, entrambe esposte a est e affacciate su un giardino. All’interno i soffitti sono finemente affrescati, con pavimenti in cotto originali.
In località Trebbio, al centro della biforcazione stradale, si distingue un vecchio frantoio oleario, ricavato nei primi del ‘900 dalla secentesca chiesa della Beata Vergine del Carmine. Dirimpetto ad esso, affacciata sulla via principale, c’è Villa Fantaguzzi, dove l’originale architettura settecentesca è andata purtroppo perduta, ma di cui resta memoria in un elegante giardino di querce e bambù, dispiegato in leggero declivio e decorato da una scenografica fontana. (Le ville Carelli e Fantaguzzi, essendo private, non sono visitabili)
Su un panoramico colle che sorge sopra l’abitato di Trebbio si dirama via Monte Calvello, che conduce al piccolo cimitero di Sant’Angelo. Nel 1611 in questo luogo sorse la chiesa di Santa Maria Assunta, meta di pellegrinaggi e devozione, sino a quando non divenne chiesa cimiteriale a fine XVII secolo. Conserva al suo interno un affresco, raffigurante una Madonna con Bambino, opera di Giovan Giacomo Pandolfi (1570–1640).
Lungo la strada che scende a valle, tra un gruppo di abitazioni in località Serra, sono visibili i ruderi della piccola chiesa di Sant’Isidoro (prima metà XVII sec.). (Non visitabile)