Storia di Montecchio

Storia di Montecchio

Primitivo feudo della famiglia Bandi, poi divenuto villa di Sant’Angelo in Lizzola, quasi totalmente distrutto dallo scoppio di un deposito di munizioni, il 21 gennaio 1944, il paese di Montecchio ha avuto la forza di rinascere, mosso dall’urgenza di ricostruire, con quell’atavica vitalità che da secoli lo contraddistingue.

STORIA: La frazione di Montecchio è una località vivace dalle tante attività industriali e artigianali, in particolare legate al settore del legno e del vetro artistico. La forte espansione centripeta, non solo dal punto di vista demografico, costituita da un significativo e costante aumento delle strutture insediative, ha mutato completamente la fisionomia del paese.

 

Il paese di Montecchio, annoverato tra i più importanti centri industriali e produttivi della provincia di Pesaro Urbino, vanta antichissime origini, legate al suo castello e alle sue chiese scomparse; le numerose testimonianze di epoca romana attestano che la zona fosse già popolata dall’antichità. 

 

Nell’archivio del monastero di Fonte Avellana è conservato un documento datato 17 giugno 1069, riguardante un atto di donazione, da parte del nobile riminese Pietro di Bennone, signore di Rimini, a favore del monastero di San Gregorio in Conca, fondato qualche anno prima da San Pier Damiani; il lascito riguardava molte terre in Romagna, nel Montefeltro e nella “Marca” e dunque tutti suoi possedimenti nel territorio pesarese, tra cui Montecchio, che proprio in quegli anni Corbone, figlio di Moronte, antico signore, stava costituendo come castello. Il monastero di San Gregorio in Conca a Morciano di Romagna entrò così in possesso del più importante centro castellano della bassa valle del Foglia, cioè Montecchio. Il castello era di origine allodiale e restò in piena proprietà di questo monastero, anche se sotto la tutela del vescovo di Rimini. Il medesimo documento certifica, inoltre, che il piccolo fortilizio era posto in un luogo strategico, sopra a un ripido costone arenaceo, che dominava la confluenza dell’Apsa con il Foglia, dotato di un fossato colmo d’acqua e posto in un crocevia di strade importanti, che dovettero renderlo ambito ai comuni vicini e che contribuì a farne uno dei centri di riferimento della nobiltà rurale del comitatus (contado) di Pesaro. 

 

L’oronimo Montecchio deriva da Monticulus, cioè piccolo monte; il castello sorgeva infatti su un colle, chiamato Monte di Montecchio, in cui negli anni ‘80 del Novecento, sono stati rinvenuti frammenti di materiale edilizio, a testimonianza dell’antico abitato castrense.

 

Nel 1071, però, San Pier Damiani sottopose il cenobio di Morciano al vescovado di Rimini e fece cedere Montecchio all’abbazia di San Tommaso in Foglia (comune di Montelabbate), poiché all’epoca un vescovo non poteva avere giurisdizione su un castello situato in un’altra diocesi. Castrum Monticuli restò per secoli soggetto alla vicina abbazia di San Tommaso e rappresentò il perno di collegamento tra questo cenobio e quello di San Gregorio a Morciano.

 

Nel 1118 Montecchio venne in possesso della famiglia filo ghibellina dei Bandi: una consorteria gentilizia (così come lo erano i De Lizzola di Sant’Angelo e i Fabbri di Montefabbri), aggregata alla giurisdizione comunale di Pesaro, ma distinta da esso. 

 

Il castello fu sottoposto ai suoi feudatari riminesi fino alla fine del 1200, ma non ebbe grande fortuna, perché privo di particolari difese naturali e nel XIII secolo si trovò al centro di una zona che per anni fu teatro delle lotte di confine tra Pesaro e Rimini, poi delle guerre tra guelfi e ghibellini.

 

S’ignorano le cause che provocarono la rovina del castello, che scomparve a poco a poco, forse per il violento sisma che il 30 aprile 1279 colpì tutta l’Italia centrale, o in conseguenza allo smantellamento della sua torre murata, unica fortificazione. La scomparsa di castrum Monticuli evidenzia comunque analogie con la volontà, da parte di Pesaro, di smantellare il castello di Lizzola, perché entrambi erano nuclei feudali, separati dalla giurisdizione pesarese e detenuti da antiche consorterie gentilizie di fazione ghibellina, che vennero sopraffatte dalle forze di parte guelfa. 

 

Immediatamente sotto il castello, al piede della collina e sulla riva del fiume, sorsero le case del borgo, intorno alla chiesa di Sant’Andrea del Piano. Castello e borgo hanno avuto una storia travagliatissima. Il primo, una volta distrutto non risorse mai più, il secondo rinacque invece dopo ogni rovina, seguendo il fiume che si spostava verso il centro della vallata e, allargandosi, con le sue case lungo la strada. Questa sua vitalità secolare lo ha fatto rinascere anche dopo la distruzione totale, subita durante l’ultima guerra. 

(Gradara e i castelli a sinistra del Foglia, Luigi Michelini Tocci)

 

Un documento del 1389 testimonia che villa Monticuli entrò nell’orbita del nucleo fortificato della vicina Sant’Angelo in Lizzola. Posto su un crocevia di strade importanti, Montecchio rappresentò un luogo di transito per i numerosi viandanti che attraversavano il villaggio per raggiungere la Romagna e il Montefeltro e, nei secoli a seguire, anche per i reiterati passaggi degli eserciti stranieri.

 

La sera del 21 gennaio 1944 a Montecchio esplose un deposito di munizioni, che i tedeschi avevano trasferito da Pesaro, per minare i campi lungo la Linea Gotica. Dopo la violenta esplosione, che costò la vita a numerosi abitanti e che distrusse quasi completamente il paese, Montecchio non era più il villaggio lungo la strada con l’osteria, in cui trovavano ristoro i viandanti che andavano verso la costa, né la cittadina lambita dal Foglia, la cui portata spesso trascinava via il ponte che la collegava con Urbino. Era il paese dello scoppio della polveriera, dal quale si era sollevata una lingua di fuoco, che aveva fatto alzare lo sguardo agli abitanti dei comuni vicini. Come un’araba fenice, però, questa cittadina ha avuto la forza di rinascere, mossa dall’urgenza di ricostruire, con quell’atavica vitalità che da secoli la contraddistingue. 

 

Nel comune di Montelabbate, ma alle porte di Montecchio, ai piedi di una collina e posto sul crinale in cui gli alleati sfondarono le prime trincee della Linea Gotica, sorge il cimitero di Commonwealth, con al centro una cappella. Nel camposanto sono sepolti i corpi di cinquecent’ottantadue alleati, giovani vittime della seconda guerra mondiale, soprattutto anglo-canadesi. Montecchio si trovava vicino all’estremità orientale della Linea Gotica e il fossato anticarro di questo sistema difensivo attraversava la valle immediatamente sotto il cimitero e il borgo fu praticamente raso al suolo, a scopo difensivo, durante la guerra e molti danni furono fatti nella campagna circostante. 

 

ARTE: Dopo il cimitero anglo-canadese, sulla destra, si apre via Arena, dove sorge un piccolo oratorio rurale dedicato all’Immacolata Concezione e ai Santi Francesco e Giacomo, situato lungo gli argini del fiume Foglia, su una fertile pianura, tra gli abitati di Montelabbate e Montecchio. Attualmente si trova ai margini di una strada, letteralmente sommersa da capannoni industriali, ma in passato la zona era immersa nella verde e incantevole campagna della bassa valle del Foglia, ricca di ulivi, case coloniche, campi coltivati e frutteti. 

 

 

 

Dall’inizio del 1400, questo sito era molto frequentato, anche per la presenza di un ponte sul fiume, che agevolava il commercio della sabbia (da cui il toponimo “Rena” e poi “Arena”), che veniva estratta dal greto del fiume e usata anche come materiale da costruzione. 

 

 

 

Per risolvere l’annoso problema dell’attraversamento del fiume, da parte dei numerosi abitanti della zona, costretti a guadare il corso d’acqua, per raggiungere la parrocchiale di Sant’Angelo in Lizzola, due sacerdoti, Giacomo e Francesco Cemmi, chiesero di poter costruire il piccolo oratorio, che venne consacrato nel 1711. A pianta ottagonale, ricco di affreschi legati all’iconografia mariana, che rivestono le pareti e il soffitto voltato a vela, culminante in una piccola cupola, l’oratorio era ornato anche da numerose tele, ora conservate presso la parrocchia dei Santi Quirico e Giulitta di Montelabbate, dalla quale dipende. (Struttura non visitabile)

 

Lungo la strada, che corre parallela alla riva del fiume, i Barbanti, ricca famiglia di possidenti del luogo, fecero costruire la cappella di Maria Santissima della Misericordia (metà XIX sec.), adiacente a un’abitazione privata (Struttura non visitabile). Subito dopo, sorgeva un altro edificio di culto, titolato a San Giuseppe, annesso alla casa padronale e risalente alla seconda metà XIX sec., ma abbattuto nel secondo dopoguerra, di cui resta memoria in un’edicola votiva, che con la chiesa ottagonale all’inizio della via, costituisce uno spaccato della vita e della religiosità popolare, che contraddistinse per secoli questa piccola borgata.