Storia di Pontevecchio
L’opificio di Pontevecchio, risalente al 1560, costituisce un’importante testimonianza di archeologia industriale. Nato come mulino ducale, dal 2018 è tornato ad una nuova vita, con la realizzazione di una moderna centrale idroelettrica e una mostra permanente di attrezzi e oggetti del mondo agricolo, che offrono uno spaccato della civiltà mezzadrile di fine ‘800 e dei primi del ‘900.
Il mulino di Pontevecchio, a fine 1500, si trovava lungo l’itinerario compiuto dall’anziano duca Francesco Maria II della Rovere, che durante i suoi spostamenti tra Urbino e Pesaro, soleva sostare presso la masseria Odasi, a ridosso del ponte. Durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi nella ritirata verso nord, incalzati dagli alleati, distrussero gran parte del ponte, la splendida tenuta Odasi (che all’epoca apparteneva ai conti Albani) e la contigua chiesa di San Giuseppe.
L’intero opificio e il ponte risalgono al 1560, commissionati dal duca di Urbino Guidobaldo II della Rovere probabilmente a Francesco Paciotti, futuro conte di Montefabbri e insigne architetto militare urbinate, già noto nelle corti europee, che ne fornì il progetto in collaborazione forse con il fratello Oreste, anch’egli valente ingegnere civile.
L’imponente arco centrale che copre l’ampio spazio nel seminterrato del mulino, ove un tempo erano alloggiate le tre coppie di macine, evoca infatti la copertura delle sale termali e le vôlte delle polveriere, nelle cittadelle realizzate da Francesco Paciotti.
La tecnica costruttiva, relativa all’intero complesso (incluso il ponte, denominato “romano” dalla popolazione autoctona), è stata, in realtà, ispirata dagli studi delle antichità classiche, basati sulla trattatistica vitruviana e riproposti in chiave moderna dai Paciotti e dagli altri ingegneri rinascimentali.
Ponte e mulino, costruiti contemporaneamente, costituivano dei confini strategici per il controllo delle vie di comunicazione, un sistema a difesa del fondovalle e un’opera innovativa, benché troppo esosa, per il delicato periodo che si stava delineando alla fine del XVI sino al XVII secolo, con la crisi alimentare, le carestie e la fine del ducato.
Il secondo conte di Montefabbri, Guidobaldo Paciotti e sua moglie Caterina Palma, nel 1647 vennero in possesso del complesso molitorio, già da tempo in locazione della famiglia comitale, acquistato da Vittoria della Rovere (ultima discendente dei duchi di Urbino). L’opificio cinquecentesco comprendeva anche un forno, il macello, l’officina del fabbro e un’osteria. La struttura rappresentò per anni un’ottima fonte di guadagno per i conti di Montefabbri e, nel 1728, venne arricchito dall’installazione del mulino dell’olio del semelino.
Tra il 1740 – 1760, l’edificio subì una vera e propria trasformazione, con l’introduzione del mulino a cilindri, che sostituì quello tradizionale, ma soprattutto vennero inserite due turbine “Breda”, snaturando l’originale struttura cinquecentesca dell’antico mulino a cui vennero appoggiati e assembrati edifici moderni.
Nel 1744 con l’estinzione della famiglia Paciotti, si aprì un contenzioso tra le eredi dei conti di Montefabbri e la confraternita della Misericordia di Urbino che, dopo lungaggini processuali, venne in possesso dell’opificio.
All’osteria di Pontevecchio, spesso covo di masnadieri, in una notte di aprile del 1861, la guardia nazionale tese un agguato alla banda di Terenzio Grossi, a cui seguì la cattura di un brigante.
La società Ridolfini-Carboni (poi Società Industrie Elettriche Pesaresi) acquistò il mulino nel 1916, introducendo due turbine a reazione di tipo Francis, per la produzione di energia elettrica. La proprietà passò poi ad alcune famiglie di mugnai, tra cui i Marchionni, che dal secondo dopoguerra, per circa cinquant’anni lo utilizzarono come abitazione, magazzino e mulino a grano, continuando la produzione della centrale idroelettrica.
Nel 2002 l’Ente Regionale per l’Abitazione Pubblica di Pesaro ne entrò in possesso e, assieme alla provincia di Pesaro Urbino e al comune di Colbordolo, ha contribuito a un capillare restauro dell’intera struttura, arricchita nel 2018 da una nuova turbina, ripristinando la produzione di energia idroelettrica. E’ stato inoltre effettuato un parziale cambio di destinazione d’uso dell’edificio, con l’introduzione di unità immobiliari a uso abitativo.
I vani dell’imponente manufatto di Pontevecchio, dal 2018, sono corredati da pannelli didascalici, che illustrano gli apparati idraulici e gli ambienti interni, introducendo i visitatori alla storia dell’opificio e della molinologia.
All’interno delle sale della struttura rinascimentale è possibile vedere vecchie turbine del mulino, oggetti, attrezzi e immagini fotografiche, testimonianze della civiltà contadina, che costituiscono l’esposizione permanente di una preziosa collezione privata.
È interessante notare che all’esterno del mulino è ancora visibile l’antica opera di captazione delle acque e il canale, che dal XVI secolo alimentano l’opificio.
Museo della Mezzadria
Via Pontevecchio, 26, 61022 Colbordolo PU
Telefono: 0721 496272
https://museo-della-mezzadria.business.site/
Foto in copertina di Daniele Marzocchi