Storia di Sant’Angelo In Lizzola
Sant’Angelo in Lizzola rappresenta una tappa obbligata, per i turisti che viaggiano nelle Marche e che si dirigono, in particolare, verso Pesaro, per la singolare bellezza del territorio circostante e per le numerose opere architettoniche, testimoni del suo importante passato. Nata dall’unione di due antichi castelli, Sant’Angelo in Lizzola fu sottoposta al dominio degli Sforza e, per secoli fu il feudo dei Mamiani Della Rovere. Terra natìa di Giovanni Branca e luogo di villeggiatura di Giulio Perticari e di Costanza Monti.
Il castello di Sant’Angelo in Lizzola ebbe origine in seguito a un grave atto di ribellione verso Pesaro, avvenuto nella seconda metà del XIII secolo: i De Liciola, signori del luogo, appoggiati dagli abitanti, rifiutarono con forza di sottomettersi al potere di Pesaro, incorrendo nelle disposizioni dello statuto cittadino, che prevedeva di punire atti di insurrezione con la condanna a morte degli insorti e con la totale distruzione o con la vendita della loro roccaforte. Gli abitanti del vicino castello di Monte Sant’Angelo chiesero e acquistarono dalla città di Pesaro, il fortilizio dei De Lizzola per trasferirvi la loro residenza e i loro beni, poiché le loro abitazioni versavano in pessime condizioni, a causa del cedimento del terreno sul quale erano state costruite.
Dal 1389 il territorio incluse anche Montecchio, il cui castello scomparve dai documenti alla fine del XIV secolo, nei quali viene menzionato come villa sottoposta a Sant’Angelo.
Dall’inizio del 1400 Sant’Angelo in Lizzola seguì le vicende di Pesaro e di tutto il suo contado, trovandosi in mezzo alle lotte intestine tra i Malatesta, gli Sforza e gli interventi dei Montefeltro.
Tra il XV e il XVI secolo, ci fu la rinascita del castello, con la fioritura di numerose botteghe di orciai e maiolicari all’interno delle mura. Gli artigiani santangiolesi trasferirono a Pesaro le loro attività, nel periodo in cui gli Sforza favorirono la pregiata produzione di ceramiche, che raggiunse anche buona parte d’Europa.
L’8 novembre 1443 a Monteluro si consumò una cruenta battaglia, forse la più celebre del XV secolo, con due grandi schieramenti: da una parte Francesco Sforza, che con Sigismondo Malatesta, le truppe dei veneziani, fiorentini e milanesi, riuscì a ottenere la vittoria e dall’altra le milizie della Chiesa, capeggiate dal condottiero Niccolò Piccinino, con il giovane Federico da Montefeltro, Malatesta Novello e Alfonso D’Aragona.
Si narra che gli abitanti del castello di Sant’Angelo in Lizzola abbiano favorito la ritirata a Monteciccardo da parte di Niccolò Piccinino (il cui esercito era accampato nei pressi dell’abbazia di San Tommaso in Foglia), subito dopo la disfatta a Monteluro e che, per questo, il loro fortilizio sia stato messo a ferro e fuoco da Francesco Sforza.
La famiglia Sforza, dal 1445 al 1512, in qualità di vicaria della Santa Sede, prese possesso della città di Pesaro e del suo contado, comprendente anche Sant’Angelo, a capo del quale mise un capitano e una truppa a guardia del castello.
Sant’Angelo visse poi tutte le vicissitudini delle Marche e del ducato di Urbino: dal periodo della dominazione da parte del figlio del pontefice Alessandro VI, Cesare Borgia, nel 1502, a quello della destituzione del duca di Urbino Francesco Maria I della Rovere, a cui lo zio, papa Giulio II, cedette tutto il territorio nel 1513, alla consegna del ducato a Lorenzino de Medici (nipote del papa Leone X) nel 1516, fino alla rivincita dei Della Rovere.
Alla subinfeudazione del castello di Montefabbri, che Francesco Maria II della Rovere fece a favore dell’architetto Francesco Paciotti nel 1578, seguì il 4 aprile 1584, quella della contea di Sant’Angelo a Giulio Cesare Mamiani, gentiluomo della corte ducale, originario di Parma e nobile di Pesaro. Il duca, in segno di stima verso la famiglia comitale, consentì di aggiungere al cognome della casata gentilizia, l’illustre nome dei Della Rovere e permise altresì di inserire la quercia, simbolo del ducato di Urbino, al blasone comitale.
L’obbligo del conte Mamiani, di donare annualmente al duca dodici mazzi di fichi secchi, rappresentò un simbolico censo di sottomissione. Con il titolo di conti e di contesse, diversi esponenti della famiglia gentilizia si succedettero al governo del castello, finché nel 1631, con la fine del ducato, Sant’Angelo venne annesso allo Stato della Chiesa e nel territorio fu inviato un legato pontificio, in rappresentanza di Roma. La Legazione apostolica di Urbino e Pesaro perdurò, con alterne vicende fino al 1807, ma la famiglia Mamiani non subì alcuna perdita di potere sul feudo.
Nel 1808 Pesaro e Sant’Angelo vennero inclusi nel dipartimento del Metauro, con il Regno italico di Napoleone e, due anni dopo, al comune vennero appodiati i vicini “borghi” di Ginestreto e Monteciccardo. A Monteciccardo, ma al confine con Sant’Angelo, aveva una villa di villeggiatura la nobile famiglia Perticari e, dal 1812, il conte Giulio e sua moglie Costanza Monti dettero vita a un cenacolo di artisti e letterati, tra cui Rossini, ospiti nella loro dimora. Nel 1851 fu inaugurato il teatro Perticari, costruito in luogo di un frantoio, per volere del conte Gordiano, che lo dedicò al fratello Giulio.
Con l’avvento della Restaurazione, seguita dalla brevissima parentesi del governo provvisorio di Gioacchino Murat (con le sue truppe napoletane stanziate in loco), anche Sant’Angelo in Lizzola tornò sotto il governo pontificio, venendo annessa alla delegazione apostolica di Urbino e Pesaro.
Nella terribile annata del 1816, vennero aboliti gli antichi privilegi nobiliari e la famiglia Mamiani perse il proprio potere sul castello e sulla corte. L’ultimo conte di Sant’Angelo in Lizzola (a titolo onorifico, poiché aveva perso i poteri feudali) fu Terenzio Mamiani della Rovere (1799-1885), filosofo, letterato e statista; il governo pontificio perdurò fino al 1860, alle soglie dell’unità d’Italia.
Durante il periodo fascista, Sant’Angelo mantenne la propria autonomia comunale; durante la seconda guerra mondiale subì bombardamenti, da parte dei tedeschi, che colpirono il Palazzo Mamiani e la torre dei Lizzola, dei quali restano le fondamenta; il Teatro “Perticari”, gioiello di architettura e la chiesa della Scuola subirono gravi danni e furono demoliti. L’esercito alleato entrò in paese il 28 agosto 1944, come ricorda l’epigrafe del monumento ai caduti, fuori dalle mura di levante.
Il clima di fermento e d’inquietudine del dopoguerra destituì secoli di mezzadria in queste contrade e portò allo sviluppo industriale e demografico nel fondovalle, come nel paese di Montecchio, mentre sulla cima delle colline, nuclei abitati come Montefabbri, soprattutto, e in parte anche Sant’Angelo sono riusciti a preservare il loro aspetto.
Nel 2013 i municipi di Sant’Angelo in Lizzola e di Colbordolo sono stati soppressi, per costituire il nuovo comune di Vallefoglia, nato il 1° gennaio 2014.